Buongiorno notte
Regia e sceneggiatura: Marco Bellocchio. Soggetto: liberamente ispirato al libro "Il prigioniero" di Anna Laura Braghetti.Fotografia: Pasquale Mari. Montaggio: Francesca Calvelli. Musica: Riccardo Giagni. Scenografia: Marco Dentici. Costumi: Sergio Ballo. Suono: Gaetano Carito. Interpreti: Maya Sansa (Chiara), Roberto Herlitzka (Aldo Moro), Luigi Lo Cascio (Mariano), Paolo Bruguglia (Enzo) Pier Giorgio Bellocchio (Ernesto), Giovanni Calcagno (Primo). Produzione: Marco Bellocchio, Sergio Pelone per Film Albatros/Rai Cinema. Distribuzione: 01. Durata: 105'. Origine: Italia, 2003.
Una coppia di giovani sposi visita un appartamento in cui andare ad abitare. In realtà i due appartengono alle Brigate Rosse - li conosceremo in seguito come Chiara ed Ernesto - e stanno cercando il luogo, la prigione in cui detenere il prossimo obiettivo della loro azione rivoluzionaria: il presidente della DC Aldo Moro. Nei giorni che precedono il rapimento viene predisposto il covo che dovrà ospitare il prigioniero, ricavando una cella nascosta dietro una libreria. Il 16 marzo 1978 un commando delle Brigate Rosse rapisce Aldo Moro, sterminando la scorta. Hanno così inizio i tragici giorni della prigionia, scanditi dai farneticanti comunicati delle Br, dalle strazianti lettere di Moro e da una sfiancante, quanto inutile, trattativa con le forze politiche e le autorità di governo. Mariano è il leader, freddo e razionale, che guida i rapitori ed impone la propria logica oltranzista.Nel gruppo di terroristi che tiene recluso Moro c’è Chiara, giovane bibliotecaria di un Ministero, alla quale è affidato il compito di assistere e di accudire il prigioniero. Continua, però, anche a lavorare in biblioteca e a condurre una vita apparentemente normale col “marito” Ernesto. La prigionia di Moro è segnata dai lunghi interrogatori e dalle estenuanti trattative: Egli scrive e indirizza lettere ai compagni di partito, ai famigliari. Chiara è corteggiata da Enzo, un giovane che frequenta la biblioteca e ha scritto una sceneggiatura sulla vicenda del rapimento. Nel frattempo Chiara inizia ad avere dei ripensamenti sull’operato delle Br. Influenzata da un incontro familiare in cui si ricorda il padre partigiano, si fa largo in lei il senso di colpa. Il raffronto fra il presidente della DC ed i protagonisti della Resistenza la tormenta, e la figura del prigioniero che si aggrappa alla vita, pur sapendo che la morte si avvicina, la turba al punto da sognare continuamente un Moro libero, che si aggira indisturbato tra gli scaffali della libreria dell’appartamento. Moro, intanto, scrive un ultimo implorante appello di salvezza al Papa nella vana speranza di ottenere la libertà, ma la direzione esecutiva delle Br conclude il processo, emettendo la sentenza di morte. E’ Mariano che si incarica di darne notizia al prigioniero. Sono gli atti conclusivi di una tragedia annunciata. I tre brigatisti accompagnano Moro fuori dalla prigione in cui è stato rinchiuso per cinquantacinque giorni. Uno stacco, in un epilogo immaginario, ci mostra Moro libero che passeggia per le strade di Roma. E’ il finale che Chiara ( e il regista) avrebbe voluto scrivere.
Punti di discussione:
2. La dimensione onirica. Il film ignora volutamente la ricostruzione minuziosa e documentata degli accadimenti e lo stesso regista dichiara in proposito: “Lo stile del film non è realistico, l’oggetto non è la verità storica, chi c’era dietro ai terroristi o altro. Volevo cercare nell’infedeltà qualcosa che contrastasse l’ineluttabile di quella tragedia, che sono le contraddizioni del personaggio di Chiara”. (dall’intervista a M. Bellocchio, Il Manifesto, 05.09.2003)
Personaggi:
• Aldo Moro (Roberto Herlitzka). E’ rappresentato in modo duplice: un uomo solo che prova paura (la stessa di Cristo prima di essere ucciso, come ricorda lui medesimo) e, nella delirante visione dei carcerieri, l’incarnazione di un concetto astratto, la funzione, l’emblema del potere.
Da considerare:
Materiali tratti da Cineforum 429 (novembre 2003) e da Guida al Novecento di Salvatore Guglielmino, Principato, 1998
Cronaca dei 55 giorni del sequestro e della morte di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, ucciso dalle Brigate Rosse: il grottesco di via Gradoli, le vili interpretazioni delle lettere, l'inefficacia dei servizi, le mene della P2, il partito della fermezza. G.M. Volonté dà l'acqua della vita a questo film-requisitoria schematico e rigido, facendo emergere la dignità di Aldo Moro, ma anche, in chiave di dolente malinconia, la forza. La parte del carcere è la più riuscita. Costruito quasi tutto sui 2 processi e sugli atti della commissione parlamentare, oltre che sul libro I giorni dell'ira di Robert Katz che l'ha anche sceneggiato con Armenia Balducci. [recensione da “Il Morandini - Dizionario dei film”, Zanichelli]
Romanzo criminale (Italia, 2005) di Michele Placido
Quindici anni (1977-92) di storia italiana che hanno al centro una banda di malavitosi romani le cui azioni criminali s'intrecciano con terrorismo politico, cultura mafiosa, poteri deviati dello Stato. Dal libro (2004) omonimo di Giancarlo De Cataldo, anche cosceneggiatore con Sandro Petraglia, Stefano Rulli e M. Placido. È il miglior film italiano di genere (gangster) dei primi anni Duemila e il più riuscito di Placido regista, non a caso ex poliziotto, benché – o proprio perché – diretto su commissione. Ritmo alacre, sapiente scansione drammaturgica in 3 parti (migliore la 1ª, forse) con smagliature sentimentali e forzature didattiche; un formidabile reparto di attori (P. Favino sopra tutti) e 2 figure femminili in bilico sullo stereotipo per eccesso di simmetria; un'efficace e addomesticata lingua romanesca sulla scia del cinema di Pasolini e dei fratelli Citti; una fotografia caravaggesca (Luca Bigazzi) sui primi o ravvicinati piani per rimediare ai pochi mezzi di rievocazione dell'epoca. Non ha torto chi ne indica il modello in Quei bravi ragazzi di M. Scorsese. Si può contestarne l'infedeltà storica (la storia è ispirata a quella della banda della Magliana), ma non la volontà di dare un'interpretazione crudele e rischiosa di quest'epopea criminale. È un film “che pretende valore autonomo e il cui significato sta nella capacità di raccontare e di emozionare, e anche di immaginare e supporre.” (R. Escobar). [recensione da “Il Morandini - Dizionario dei film”, Zanichelli]