Mio fratello è figlio unico
Regia: Daniele Luchetti. Sceneggiatura: Daniele Luchetti, Stefano Rulli, Sandro Petraglia. Fotografia: Claudio Collepiccolo. Montaggio: Mirco Garrone. Scenografia: Francesco Frigeri. Costumi: Maria Rita Barbera. Musica: Franco Piersanti. Interpreti: Elio Germano (Accio), Riccardo Scamarcio (Manrico), Diane Fleri (Francesca), Angela Finochiaro (la signora Benassi) Massimo Popolizio (il signor Benassi), Alba Rohrwacher (Violetta), Luca Zingaretti (Mario Nastri), Anna Bonaiuto (Bella Nastri), Vittorio Emanuele Propizio (Accio adolescente), Ascanio Celestini (padre Cavalli), Claudio Botosso (il professor Montagna). Produzione: Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Riccardo Tozzi per Cattleya/Babe Film. Distribuzione: Warner Bros. Durata: 100'. Origine: Italia/Francia, 2007.
1962. Antonio Benassi detto Accio da Latina ha una madre casalinga, un padre che fa l’operaio, una sorella che si chiama Violetta e che studia al liceo classico e un fratello bello, che di nome fa Manrico e ha gli occhi azzurri, una voce profonda, un gran talento con le ragazze e una vocazione da leader operaio. Accio è un ragazzino e sta in seminario, come opzione per un futuro sicuro; ma Manrico, che agitatore lo è nell’animo, instilla in lui il dubbio con una foto di Marina Allasco: Accio decide che la carriera ecclesiastica non fa per lui e se ne torna a casa. Nell’equilibrio familiare il ragazzino sembra però non trovare posto e il suo letto diventa una poltrona convertibile nell’angolo del corridoio di una casa troppo piccola e troppo malconcia.
La confusione identitario e quel senso di rifiuto che ne scaturiscono non lo portano però a rifuggire gli altri; anzi Accio si getta in una serie di relazioni umane con un’intensità che disorienta gli altri per l’irruenza, l’aggressività, la foga che contraddistinguono ogni sua frase e gesto. Soprattutto con Manrico, Accio ha un rapporto che si basa essenzialmente sullo scontro fisico e l’aggressione verbale: pugni, sberle, calci, punizioni varie finché il ragazzo, riemergendo da una vasca in cui il fratello lo tiene a forza, si ritrova cresciuto. La confusione e la smania di affrontare la vita a muso duro non hanno però trovato pace, anzi, si inaspriscono con l’impeto della giovinezza che corre lungo le vicende di un’Italia che si trasforma, che contesta, che cerca di determinare illusoriamente il suo futuro. E lo sbocco naturale di tanta foga diventa la lotta politica con le sue verbose costruzioni che giustificano cortei, pestaggi e spedizioni punitive. In questa nuova battaglia esistenziale Accio, neotesserato del Msi, si trova contro il fratello che anima scioperi di fabbrica e occupazioni. Ma il misurarsi di Accio con la vita continua, fuori e dentro di sé, al di qua e al di là di quelle che ha creduto convinzioni, di quelli che ha creduto amici, di quelli che ha creduto valori, contro e insieme a Manrico che la sua scelta, invece, l’ha fatta da tempo. 1977. Il destino presenta il conto ai due fratelli. Un conto che pesa e che parla di un’Italia che l’illusione di cambiare le cose la sta perdendo inesorabilmente.
Punti di discussione:
1. La ricerca della propria identità: il percorso di formazione del personaggio di Accio (il periodo trascorso in seminario, l’avvicinamento al partito fascista prima e a quello comunista poi, l’educazione sentimentale). Uno spiccato individualismo, in contrasto con una forte smania di identificazione, una caratteristica in apparente contraddizione, ancora presente nella personalità di numerosi giovani. Negli anni Sessanta Accio ha trovato nella politica un modo per far sapere che esiste, oggi invece cosa farebbe?
2. Il rapporto tra Accio e Manrico: i due fratelli sono uno l’opposto dell’altro e crescono in perenne conflitto, ma a renderli simili è un nucleo affettivo misterioso, che si esplicita nella scena finale, quando si rendono conto di essere radicalmente e per sempre diversi l'uno dall'altro. Solo allora realmente si “toccano”. Lo sguardo degli occhi scuri, vivaci e dubbiosi di Accio si scontra/si incontra con lo sguardo degli occhi azzurri, impenetrabili e sicuri di Manrico.
3. Il rapporto conflittuale di Accio con la famiglia: come si può spiegare il diverso atteggiamento della madre nei confronti dei suoi due figli maschi?4. I personaggi femminili del film: la madre, Francesca, la sorella Violetta, la moglie di Mario, Bella, che osano scegliere, sbagliando e sopportando le conseguenze delle loro scelte. 5. La conclusione del film, considerata da parte della critica come eccessivamente “didascalica” e consolatoria. Accio, personaggio “vincitore” (e superstite) della vicenda, quali ideali incarna, alla fine del suo percorso di formazione?
Personaggi:
Da considerare:
La meglio gioventù (Italia, 2003) di Marco Tullio Giordana
Saga dei borghesi Carati, padre romano e madre milanese con due figli maschi e due femmine, dall'estate 1966 ai giorni nostri. Tre generazioni, da Roma a Palermo, da Capo Nord alla val d'Orcia, toccando alcuni dei grandi eventi collettivi di quel terzo di secolo: l'alluvione di Firenze (4-11-1966), i movimenti giovanili, l'antipsichiatria, la lotta armata tra i '70 e gli '80, la strage mafiosa di Capaci (1992). Di questo film corale – 6 ore in due atti – sono protagonisti i due fratelli Nicola, psichiatra basagliano, e Matteo, spigoloso poliziotto, entrambi figli del '68. Compatta e complessa sceneggiatura di Sandro Petraglia e Stefano Rulli con simmetrie, conflitti, incalzare di avvenimenti e sottigliezza psicologica, passioni e compassione, coraggio e tenerezza, scarti del caso e decisioni personali. Probabilmente è il risultato più ammirevole del loro lungo lavoro di sceneggiatori così com'è il più maturo e felice film di M.T. Giordana che alla maturità era giunto con I cento passi. L'alchimia e la sintonia fra i tre ha del miracoloso nel cinema italiano del primo 2000. In questo film di memoria – fedele al suo titolo che è di Pasolini, ma prima ancora di una canzone alpina della guerra 1915-18 – contano anzitutto i personaggi: non perché siano tipici o esemplari, determinati dagli avvenimenti: gli autori, anzi, ne hanno privilegiato l'irripetibilità e la singolarità. Alle virtù dello stile si aggiunge una lucida volontà di comunicazione emotiva con lo spettatore: ha il momento più alto nella sequenza dei libri (una grande A. Asti) dopo il suicidio di Matteo; qua e là nel 2° atto s'inoltra nel territorio del mélo, persino ruffiano nel finale, l'unica caduta di gusto che gli possiamo rimproverare. Fotografia: Roberto Forza; montaggio: Roberto Missiroli; presa diretta: Fulgenzio Ceccon. 6 David di Donatello e 6 Nastri d'argento. Premiato a “Un certain régard” di Cannes 2003. Prodotto dalla RAI i cui responsabili – per incompetenza e/o ignavia – ne hanno ritardato la messa in onda. [recensione da “Il Morandini - Dizionario dei film”, Zanichelli]