Bronte: cronaca di un massacro
Regia: Florestano Vancini. Soggetto: Benedetto Benedetti, Fabio Carpi, Florestano Vancini. Sceneggiatura: Nicola Badalucco, Fabio Carpi, Leonardo Sciascia, Florestano Vancini. Fotografia: Nenad Jovicic. Montaggio: Roberto Perpignani. Musica: Egisto Macchi. Montaggio: Adriana Novelli. Interpreti: Ivo Garrani, Mariano Regillo, Ilija Dzuvalenkovsk', Rudolf Kukié. Produzione: Alfa Cinematografica/RAI/Histria Film. Durata: 126'. Origine: Italia- Jugoslavia, 1972.
Sicilia orientale, 3-10 agosto 1860. Ormai compiuta la liberazione dal dominio borbonico dell'intera Sicilia da parte dei garibaldini, nel catanese scoppia una sanguinosa rivolta contadina contro i latifondisti del posto. A Bronte, nonostante il liberale avvocato Lombardo cerchi di far prevalere la moderazione, la popolazione locale, esasperata da anni di feroce sfruttamento, sotto la guida del carbonaro Gasparazzo fa giustizia sommaria di quindici notabili del paese. Richiamato sul posto dalle notizie della strage, Nino Bixio, fedele braccio destro di Garibaldi, impone che siano fucilati l'avvocato Lombardo e cinque popolani coinvolti nella rivolta.
Sulla scorta dell’interpretazione gramsciana del Risorgimento come rivoluzione agraria tradita (cioè l’unificazione italiana vista come processo di natura esclusivamente territoriale e istituzionale, risoltasi nell’annessione degli Stati della penisola da parte del Regno di Piemonte e che non ha intaccato i rapporti sociali segnati dal predominio della borghesia e dell'aristocrazia terriera a spese delle masse contadine) Vancini propone una pagina di storia poco conosciuta (non, però, del tutto ignorata, se pensiamo alla novella Libertà del Verga e ad alcuni accenni in opere storiografiche) e certamente dimenticata in fretta a causa dalla mitologia nazionale costruita attorno alla figura di Garibaldi.
Il film mette chiaramente in luce i limiti e le insufficienze di tutte le forze in gioco: il proletariato rurale, privo di una teoria e di un progetto rivoluzionario, si abbandona ad una rivolta violenta e feroce (che richiama le tremende jacquerie medioevali), ma totalmente priva di realistici sbocchi politici e guidata per giunta dal rozzo e sanguinario Gasparazzo; Bixio rappresenta gli angusti orizzonti sociali del movimento garibaldino (la cui conquista militare dell’isola fu resa possibile da un compromesso con i ceti possidenti agrari, cui si garantiva il sostanziale mantenimento del potere politico ed economico); l’avvocato Lombardo, nella sua significativa solitudine, rappresenta la scarsa incidenza della borghesia liberale in un contesto di pesante arretratezza.
I momenti migliori del film sono quelli che lo racchiudono alle estremità: all’inizio la descrizione delle disumane condizioni di lavoro dei poveri contadini siciliani, sprofondati nella miseria e oppressi dallo sfruttamento, ci immerge con efficace eloquenza in un contesto di degradazione che da solo può spiegare la sfrenata esplosione di violenza di cui si renderanno protagonisti questi disperati della terra; alla fine la drammatica sequenza della fucilazione dei rivoltosi, tremendamente conclusiva nel chiudere la vicenda all’insegna di un cupo e sconsolato pessimismo (la speranza di una reale liberazione dall’ingiustizia e dai soprusi si rivela per l’illusione che è: da quel momento per il meridione d’Italia tutto continuerà come prima).
In mezzo ci sta una pellicola aspra e tesa, che sa coinvolgere e sconvolgere, ma sostanzialmente incapace di sottrarsi ad un’impostazione troppo schematica e didascalica, da lezione di storia nella quale i personaggi stentano a svincolarsi dal modello ideologico e socioculturale di cui si fanno portatori senza ambiguità e scarti. Mancano le sfumature e i chiaroscuri e su tutto finisce per prevalere l’intento di dimostrare in modo chiaro e incontrovertibile la tesi di fondo. E’ il difetto tipico di tanto Cinema italiano storico e politico di quegli anni, per il quale la comunicazione del messaggio s’impone su qualunque altra cosa.
Fonte: www.pacioli.net