Terraferma
Regia: Emanuele Crialese. Sceneggiatura: Emanuele Crialese, Vittorio Moroni. Fotografia: Fabio Cianchetti. Montaggio: Simona Paggi. Scenografia: Paolo Bonfini. Musica: Franco Piersanti. Interpreti: Donatella Finocchiaro (Giulietta), Filippo Pucillo (Filippo), Beppe Fiorello (Nino), Mimmo Cuticchio (Ernesto), Martina Codecasa (Maura), Tiziana Lodato (Maria), Claudo Santamaria (il finanziere), Timnit T. (Sara), Filippo Scarafia (Marco), Pierpaolo Spollon (Stefano), Rubel Tsegay Abraha (Omar). Produzione: Riccardo Tozzi, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini, Fabio Conversi per Cattleya/Babe Films/France 2 Cinéma. Distribuzione: 01. Durata: 88 minuti. Origine: Italia/Francia, 2011.
Due donne, un ‘isolana e una straniera: l‘una sconvolge la vita dell’altra. Eppure hanno uno stesso sogno, un futuro diverso per i loro figli, la loro Terraferma. Terraferma è l’approdo a cui mira chi naviga, ma è anche un‘isola saldamente ancorata a tradizioni ferme nel tempo. È con l’immobilità di questo tempo che la famiglia Pucillo deve confrontarsi. Ernesto ha settant‘anni, vorrebbe fermare il tempo e non vorrebbe rottamare il suo peschereccio. Suo nipote Filippo ne ha venti, ha perso suo padre in mare ed è sospeso tra il tempo di suo nonno Ernesto e il tempo di suo zio Nino, che ha smesso di pescare pesci per catturare turisti. Sua madre Giulietta, giovane vedova, sente che il tempo immutabile di quest’isola li ha resi tutti stranieri e che non potrà mai esserci un futuro né per lei, né per suo figlio Filippo. Per vivere bisogna trovare il coraggio di andare. Un giorno il mare sospinge nelle loro vite altri viaggiatori, tra cui Sara e suo figlio. Ernesto li accoglie: è l’antica legge del mare. Ma la nuova legge dell’uomo non lo permette e la vita della famiglia Pucillo è destinata ad essere sconvolta e a dover scegliere una nuova rotta.
“Osservata dal mare, la terra indica l’immobile destino. Ma nel suo interno è tutt’altro che stabile materia”. L’Odissea cinematografica di Emanuele Crialese trova il suo quarto approdo in un sapore di maturata continuità. Perché i concetti che rivisita e su cui compie nuove riflessioni sono “fondativi, sempre più emergenti”: necessaria riaffermazione di una mappatura etico-estetica fortemente personale. La paura del diverso “estraneo”, la centralità della donna, l’esigenza di contaminazione, l’incessante ricerca di un luogo, punto fermo in cui “ricominciare un’esistenza che sia protetta, civile e soprattutto umana”. La compresenza dell’arcaico e del nuovo, sotto l’egida di un mito eterno eppur spiazzante. Dopo l’esordio migrante di Once we were strangers (1997) al termine del periodo newyorkese, il plauso internazionale del sorprendente Respiro (2002) e la seguente conferma nel 2006 con Nuovomondo, il 46enne cineasta intuisce la Terraferma ma lo fa “rigorosamente dal mare”.
Che luogo è Terraferma?
È quanto si urla dalla barca, in mezzo al mare, non appena viene avvistato un approdo. Ma è chiaro che la terra sia tutt’altro che ferma, o immutabile. Non mi riferisco solo alla sua identità geologica, quanto alla sua capacità di assorbire l’eterno mutante insito nel carattere umano, nel suo universo di relazioni. In questo senso Terraferma è essenzialmente un punto di vista.
Per contrasto inevitabile cosa rappresenta per te il mare?
Il mare è il canale di comunicazione per eccellenza. Ci permette di ricordare la nostra posizione rispetto alla natura: mai saremo padroni del mare, del quale possiamo al limite capire i venti ma di fronte alla cui furia siamo impotenti. Il mare e il mio cinema si scompongono e ricompongono reciprocamente e l’elemento marino da sempre rappresenta per i protagonisti il veicolo di una seconda/nuova vita. Lo è per Grazia in Respiro, lo è per i migranti in America di Nuovomondo, lo è per gli abitanti di Terraferma in quanto attraverso il mare ricevono un’umanità diversa, dall’altrove. È così, liquidamente, che prende forma la mia personale concezione dell’Odissea, ove il racconto si fa evocazione. Il pubblico deve poter creare con me, e del mare (che prende il colore del latte all’occorrenza) deve potersi nutrire. Voglio anche aggiungere che dal punto di vista della terra anche l’orizzonte marino appare come l’eterno immutabile. Ma dal suo interno, il mare è il movimento vitale assoluto, è l’ambiente dove si genera azione e in quanto tale è il luogo che ci trasporta verso l’esplorazione del mondo.
Come si applica tale esplorazione al contesto specifico di Terraferma?
Sull’isola di Terraferma approdano due proposte di vita alternativa ai pescatori nativi: da una parte i turisti alla ricerca del divertimento, dall’altra i migranti alla ricerca di un’esistenza dignitosa. Si tratta in ogni caso di membri di comunità estranei agli abitanti e dunque portatori di probabili pericoli: ma questo non è inizialmente percepito dalla popolazione isolana, perché il suo istinto naturale è di accogliere chi arriva dal mare. Nel momento in cui, per un motivo o per l’altro, gli abitanti vengono puniti per aver accolto nasce la paura del diverso. E si mettono in discussione. Secondo questa logica il mio film diventa la messa in mostra di come nasce e si sviluppa la paura del diverso, dello straniero. Un sentimento di difesa che tende a crescere “a prescindere”, ed è il primo vero ostacolo al processo di conoscenza. Da tale impedimento autoimposto bisogna evolversi, altrimenti si soccombe per implosione.